DCT Dual Clutch Transmission

Prima Parte

Dopo tanti anni di successi e clienti soddisfatti è giusto celebrare una tecnologia che Honda non ha inventato, ma ha portato sulle due ruote. I modelli dotati di trasmissione DCT, sintesi di Dual Clutch Transmission che per dirla in italiano possiamo interpretarla come Cambio a Doppia Frizione, sono una realtà da tempo. Una raffinata soluzione che lascia al pilota la scelta di guidare usando il cambio manualmente o automaticamente, godendo di una cambiata morbida, rapida ed eventualmente automatizzata.

Una storia che comincia più di un secolo fa e che Honda ha voluto applicare alle moto: unica casa a proporre vari modelli dotati di questo sofisticato cambio robotizzato a doppia frizione in alternativa del tradizionale cambio con frizione singola e manuale. Tecnologia che Honda ha fatto debuttare sulla VFR1200F V4 che rappresenta nella storia la prima moto dotata di sistema Dual Clutch Transmission. Un modello che finalmente ha realizzato uno dei sogni più cari a Soichiro Honda che per tutta la vita ha immaginato e rincorso automatismi che facilitassero la guida. Soprattutto quelli per semplificare l’uso di cambio e frizione. Una vera fissazione per Soichiro, persuaso che qualsiasi sistema in grado di rendere più intuitivo l’approccio alla guida, avrebbe allargato la clientela.

Quella del DCT è una storia che comincia prima. Molto tempo prima, con Adolphe Kégresse, un ragazzino molto sveglio che nasce in Francia (Hericourt 1879) da una famiglia tedesca, emigrata da Stoccarda in Alsazia. Il padre dirige una filanda, la madre ha un negozio di tessuti, mentre Adolphe mostra talento per la meccanica e una passione autentica per le auto. A 16 anni ottiene il suo primo diploma di meccanico e tornitore. Più avanti, terminato il servizio militare, lo assume un fabbricante di motori e diventa presto il responsabile dell’officina. Kégresse è capace, coraggioso, intraprendente, forse sarebbe piaciuto molto a Soichiro, e per inseguire i suoi sogni nel 1903 - non ha neanche 25 anni - parte per la lontana San Pietroburgo dove trova impiego: è capomeccanico presso le ferrovie russe.

Il principe Vladimir Orlov - fidato capo militare dello Zar Nicola II - lo scopre alla stazione: il treno imperiale è bloccato da un’interruttore congelato e Adolphe riesce a sbloccarlo. Viene assunto come ingegnere nelle officine imperiali e diventerà in breve direttore tecnico dei servizi automobilistici dello zar. I disagi invernali sono tali anche per gli spostamenti dell’imperatore di Russia, e Kégresse escogita una soluzione: inventa il primo autocingolato. Quando scoppia la rivoluzione bolscevica fugge. Torna in Francia e un vecchio amico - legato ad André Citroen - lo aiuta a riproporre la sua invenzione. Citroen intuisce le prospettive militari del cingolato e Kégresse diventa un suo tecnico di riferimento.

Quando si stacca dalla Citroen - negli anni ’30 - apre il suo studio. Ha già in mente un’altra invenzione: è un sistema di trasmissione. Un cambio-frizione molto raffinato che disegna nel 1935 e brevetta come AutoServe. Non riuscirà mai a realizzarlo ma è l’embrione del cambio a doppia frizione… il concetto del DCT lo dobbiamo a lui..

Passa mezzo secolo prima che l’idea venga riscoperta dalla Porsche. A Stoccarda i tedeschi la ribattezzano Doppelkupplung (dual clutch gearbox, letteralmente cambio a doppia frizione) e lo realizzano insieme alla ZF, fornitore specializzato di tanta industria automobilistica europea. Le vittorie delle famose Porsche 956 e 962 sono la prima spinta per la divulgazione dell’idea di Kégresse. Audi lo applica alle sue Quattro da rally, Ferrari lo sviluppa e costruisce in casa per le sue auto da corsa, la VW lo è la prima a volerlo in una produzione su larga scala per la R32 V6. È una versione ultrasportiva della popolare Golf, che viene commercializzata nel 2003 con un cambio a doppia frizione fornito dalla statunitense BorgWarner. Più tardi arriveranno anche Alfa Romeo, Bugatti, Ford, McLaren.


È una soluzione costosa, impegnativa anche per i grandi costruttori, ma i vantaggi sono evidenti nelle corse e su strada.

Immaginarlo su due ruote invece non è affatto scontato. Ci sono problemi di ingombri, peso, e senza alcun precedente con cui confrontarsi anche e soprattutto una logica di funzionamento. Un’interfaccia pilota-macchina tutta da immaginare e un’interpretazione da soddisfare attraverso elettroniche e mappature da inventare. L’aggravio di costi diventerebbe ancora più importante, con tempi di sviluppo e messa a punto legati a un punto di domanda. Applicare la tecnologia DCT a una moto è prima di tutto una questione di coraggio.

Per la Honda è una sfida perfetta. Nel pieno rispetto dello spirito di Soichiro, che già dal primo Cub 50 - il popolare best-seller più venduto nella storia dei veicoli a motori - lo vuole con un cambio a frizione automatica. 

Poi alla Honda arriva il brevetto di Giovanni Badalini, ingegnere che aveva sviluppato un cambio-frizione molto raffinato e complicato, già sperimentato con scarso successo in Italia. Soichiro lo vuole comunque per industrializzare sullo scooter Juno M80 (bicilindrico boxer 124 cc). Il nome di questa trasmissione è HMT (Hydraulic Mechanical Trasmission). È un primato che non si trasforma in un successo commerciale. Il prezzo e il peso sono elevati e dopo un secondo tentativo con la versione M85 maggiorata a 169cc, lo Juno esce di produzione dopo 6mila esemplari.

L’evoluzione di questa e altre trasmissioni automatiche continua. Nel 1976 arriva la CB750 Hondamatic. Sull’ammiraglia a quattro cilindri che segna record di vendite in tutto il mondo dalla sua prima commercializzazione, viene allestita una versione semiautomatica con un convertitore di coppia a due rapporti. Ancora una volta l’interesse degli appassionati è contenuto e dopo due anni esce di produzione.

La prima affermazione sportiva di una moto automatica arriva nel 1991. La HRC con la RC250MA automatica, dotata di una trasmissione Badalini messa a punto dall’ingegnere Katsumi Yamazaki, domina e vince il campionato giapponese motocross. Soichiro muore poche settimane prima e non potrà gioire per la vittoria. Perché fin poco prima della scomparsa, ancora si preoccupava di spronare (persino con qualche manata!) il paziente Yamazaki.

Sulla scorta delle esperienze vittoriose nel motocross, la trasmissione-idea di   Badalini viene ribattezzata Human Friendly Transmission (HFT). Questo cambio automatico e alcune evoluzioni del più semplice CVT - la classica trasmissione con variatore a cinghia e frizione centrifuga - vengono valutate in diverse applicazioni. Svariati concept sono presentati per saggiare le reazioni del pubblico. Lo scooter FB-S 400 (1997) concettualmente erede dello Juno con lo stesso schema meccanico boxer. La X-Wing (1999) con boxer 1500cc a sei cilindri e trasmissione automatica. La Bosscat (1999) con bicilindrico 398cc, la Honda Boss Cub (1999) con monocilindrico 250cc. La Elysium (2001), scooter dotato di baule e tetto integrati con un boxer 750cc a quattro cilindri e cambio HFT e con la stessa meccanica-trasmissione la Griffon (2003), un’interpretazione più motociclistica. La E4-01 (2005) con un twin parallelo 903cc e HFT. E la elegante EV06, naked col motore 1832cc GoldWing boxer sei cilindri arricchito della trasmissione HFT.

Ma dopo lo Juno e l’esperienza nel motocross raccolta da Yamazaki, la tecnologia HFT trova una nuova industrializzazione di massa con l’ATV quattro ruote FourTrax Rubicon destinato al mercato statunitense e la DN-01 dotata del bicilindrico 680cc. Il concept è presentato nel 2005 al salone di Tokyo e la DN-01 definitiva entra in produzione come model year 2008.

Ma non sarà ancora l’HFT a segnare la svolta. Alla Honda hanno compreso bene i limiti tecnici e commerciali delle varie trasmissioni automatiche. Serve qualcosa di più innovativo, soprattutto in funzione di modelli di grossa cilindrata. Una soluzione diversa per portare le trasmissioni automatiche a un livello superiore. Qualcosa di più ambizioso per portare la trasmissione automatica fuori dai confini dei segmenti di modelli utilitari, commuting, e di piccola cilindrata.

Il DCT è una tecnologia che andrebbe bene. Nelle auto ha già dimostrato grande validità e ottenuto risultati eclatanti nello sport. Ma per immaginarlo su una moto… serve coraggio e determinazione. Tanto coraggio e Koji Nakajima è il manager che prende la decisione e dà il via libera allo sviluppo di una trasmissione DCT destinata alle due ruote. È l’anno 2000.

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